RITA MASCIALINO, ‘LIVIANA F. C. CHIOLO: “PINOCCHIO TRA PALCO E PELLICOLA”: RIFLESSIONI’
RITA MASCIALINO, ‘LIVIANA FILIPPINA CAVA CHIOLO: TRA PALCO E PELLICOLA: RIFLESSIONI’
La Tesi di Laurea della Dottoressa Liviana Filippina Cava Chiolo Pinocchio tra palco e pellicola (Tesi di Laurea A.A.2021/22: Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Umanistiche DISUM, Facoltà di Lettere Moderne: Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)* si divide in due parti, di cui la prima dà una panoramica dei più importanti saggi di critica letteraria relativi a Pinocchio (1883) e la seconda offre una trattazione delle più rilevanti opere teatrali e cinematografiche sorte quali adattamenti dell’opera di Collodi realizzati secondo l’interpretazione degli autori relativamente al testo originale. Completa la Tesi una serie di fotografie sia di Pinocchio nelle arti visive, sia di immagini tratte dalle diverse rappresentazioni teatrali e cinematografiche dell’opera stessa, nonché la Bibliografia relativa alle fonti.
Liviana Filippina Cava Chiolo durante la discussione della Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’. Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Umanistiche DISUM.
Si tratta di una Tesi importante che supera nell’impostazione il livello dell’erudita e dettagliata informazione storico-biografica, pure presente: lo spazio centrale dato al significato dell’arte espresso nei profondi e acuti commenti dell’Autrice sull’opera di Collodi, sulle idee espresse dagli studiosi stessi, sulle illustrazioni della fiaba, sugli adattamenti teatrali e cinematografici dell’immortale opera di Collodi. È una Tesi la cui cornice informativa basata su oggettive e autorevoli fonti documentali è sempre accompagnata dall’approfondimento critico della Chiolo.
Esporrò qui alcune riflessioni prendendo come campioni per l’esemplificazione un paio di opere scelte tra i saggi critici presentati dall’Autrice, tra le illustrazioni e gli adattamenti teatrali e cinematografici, nonché e soprattutto tra i relativi commenti critici della Chiolo.
Carlo Collodi, in: portalegiovani.comune.fi.it
Una prima riflessione significativa a proposito dell’approfondimento critico della Chiolo riguarda il suo commento a quanto Italo Calvino ritiene del linguaggio di Pinocchio. Calvino definisce lo stile di Collodi dalla facilità con cui si ricordano le diverse frasi, quasi siano versi di una poesia, un linguaggio semplice e adatto alla memorizzazione dei contenuti. La Chiolo, nell’approfondire l’opinione di Calvino e prestando grande considerazione allo stile narrativo di Collodi, ritiene in particolare, tra l’altro, che il linguaggio di Pinocchio subisca un processo evolutivo da quello del burattino a quello di un ragazzo in carne ed ossa, processo di cui viene messa in evidenza l’iniziale scarsità di logica di Pinocchio bambino che si illude di conquistare il mondo con facilità, con furbizia, senza alcun sacrificio. Si tratta di un linguaggio infarcito di sconclusionatezze, senza che vi sia nessuno che corregga Pinocchio, che gli insegni a chiarire meglio i suoi pensieri, un linguaggio che riflette la visione del mondo dei bambini e dei ragazzini magari anche non sufficientemente studiosi (15-16):
In: Google.com Pinocchio di Mazzanti
“(…) Le avventure di Pinocchio non sono semplicemente un libro per bambini, ma sono anche e soprattutto un libro sui bambini perché in esso cogliamo qual è il loro modo di ragionare, di pensare, il tipo di linguaggio che adoperano e qual è la loro capacità di organizzare idee e fatti. Collodi dunque è riuscito a penetrare sino in profondità nella logica espressiva e intellettiva di un bambino in modo del tutto semplice, diretto, ma soprattutto vero. Mentre gli altri autori di libri per ragazzi utilizzano un linguaggio puerile, melenso, caratterizzato da diminutivi, Collodi invece descrive con assoluta autenticità il modo di ragionare, di parlare e di raccontare tipico dei bambini – cosa alquanto difficile per un adulto (…).”
La Chiolo continua il suo commento affermando come nel tempo, dopo la dura scuola di un esistere che vede Pinocchio abbandonato alla strada, il linguaggio, pur conservando ancora sgrammaticature e poca chiarezza di raccordi logici fra i pensieri, mostri comunque una capacità non scarsa di capire il mondo. L’Autrice, molto finemente, osserva come in Collodi la carente o inesistente cultura di Pinocchio non escluda la presenza di capacità intellettive anche profonde e molto acute fino a raggiungere una saggezza di vita. Per chiarire: la Chiolo, attraverso l’analisi del linguaggio di Pinocchio per come si presenta in Collodi, sottolinea come la mancanza di forme corrette a livello linguistico, morfologiche e sintattiche, la mancanza di eleganza nel linguaggio non corrisponda sempre e tout court a mancanza o scarsezza di intelligenza nei parlanti. Come associazione implicita in senso esteso, ciò vale anche per il popolo parallelamente non acculturato, ciò con cui emerge come Collodi, accanto alla creazione di un linguaggio bambino in evoluzione, abbia spezzato una lancia per la verità che connota spesso il modo di esprimersi dei piccoli sebbene spesso indigente, ma anche collateralmente per i ceti meno abbienti, popolari, che pur non sapendo o non potendo servirsi di linguaggi colti, nel contempo sanno usare il loro intelletto per capire il mondo ed esprimere i loro pensieri, non di rado profondi. Come si evince dal commento critico della Chiolo, i rimandi alla condizione umile del popolo sono in Pinocchio molto frequenti sul piano implicito, ossia Collodi non rinuncia a esprimere la sua posizione ideologica appunto implicitamente, come risulta dall’analisi delle pieghe del suo linguaggio, del suo poderoso stile romanzesco.
A proposito di tale stile collodiano particolarmente complesso di implicazioni che vanno ben oltre la superficie del narrato, la Chiolo cita anche il giudizio (32) espresso dalla Mascialino nel suo saggio (Pinocchio: Analisi e interpretazione, Cleup 2004):
“(…) Afferma la studiosa Rita Mascialino nella Conclusione del suo saggio a proposito del molto particolare stile narrativo di Collodi: ‘Quanto allo stile della narrazione, abbiamo individuato la sua spazialità dinamica più peculiare che risulta essere quella del nascondimento che rivela e della rivelazione che nasconde, spazialità duplice che è frutto di una diversa illuminazione dello steso passaggio: quella per piccini prodotta da colorate luci puntate sulla superficie e quella per adulti formata da luci di chiaroscuro puntate su ciò che non sta in superficie, illuminazione che attua il cambio di prospettive tra ciò che è manifesto e ciò che è nascosto a seconda del luogo in cui ci si pone per osservare e che conferisce alla fiaba un fascino particolarmente intenso conseguente all’emozione suscitata dall’avvicendarsi improvviso delle stesse (…)”
Spiega la Chiolo in riferimento a quanto sopra citato (32):
“(…) cioè il narratore mette in risalto e quindi zooma determinati aspetti de racconto che vuole nascondere – può trattarsi di una caratteristica fisica, psicologica di un personaggio o anche di un a semplice scena – per poi giungere al nascondimento più totale di questi. Ma in realtà è il contrario di ciò che l’autore ci vuole far credere. Difatti è come se in qualche modo Collodi si prendesse beffa del suo lettore poiché attraverso questo suo strategico modus operandi riesce a nascondere intenzionalmente proprio quello che pone in rilievo (…)”
L’attenzione riservata al linguaggio di Pinocchio ottiene, come sottolinea la Chiolo, grande spazio anche in Piero Dorfles (Le palline di Zucchero della Fata Turchina. Indagine su Pinocchio, Garzanti 2018), secondo il quale il modo di parlare del burattino, sgrammaticato e paratattico con uso quasi esclusivo di frasi principali, senza nessi logici più articolati, porta il lettore direttamente nel mondo dei bambini, diverso da quello degli adulti, così che viene dato un esempio del modo di ragionare dei piccoli che, solo quando Pinocchio smette di essere un burattino, diviene simile a quello degli adulti, più razionale, un po’ come se fosse proprio il modo di gestire il linguaggio a caratterizzare la mente e il mondo infantile, privo delle corrette relazioni nell’espressione del pensiero, ma così anche privo di sovrastrutture, in questo senso un mondo genuino e più vero, al di là delle convenzioni (15-16).
Quanto alle illustrazioni citate e sempre commentate dalla Chiolo, è il caso di dare qui spazio alla prima illustrazione, la più celebre, quella di Enrico Mazzanti all’edizione del 1883, che a mio giudizio personale risulta essere l’illustrazione più suggestiva e profonda, molto raffinata sul piano artistico. Come ci informa la Chiolo, Mazzanti aveva già illustrato alcuni scritti di Collodi, I racconti delle fate, le Storie allegre e altro, disegni in cui l’abilissimo artista descrive il mondo fantastico di Collodi ponendosi nella prospettiva del ludico (41-42), divenendo, a ragione, l’illustratore più amato dall’autore che lo riconosceva come più vicino alla verità dei suoi personaggi, della sua fantasia:
“(…) L’illustrazione principale tra tutti i disegni di Mazzanti è sicuramente quella del frontespizio, in cui viene raffigurato un burattino spavaldo con le mani sui fianchi che guarda dritto verso l’orizzonte, il quale indossa una casacca da clown bianca, il cappello a cono e la gorgiera, mentre sullo sfondo compaiono alcuni personaggi chiave – quasi tutti animali eccetto la Fata – le cui dimensioni sono di gran lunga ridotte rispetto a Pinocchio che invece si impossessa di tuta la scena (..”)
Scorcio del paese di Collodi (Pistoia), in: e-borghi.com/it/borgo/Pistoia/136/collodi
La Chiolo, come sempre molto acutamente, evidenzia come la tecnica stilistica di Mazzanti punti “sull’approssimazione” (41), concetto con il quale viene colto direttamente la qualità precipua e più profonda delle illustrazioni di Mazzanti nelle quali prevale nella grande maggioranza il tratto leggero, non eccessivo dei suoi disegni a penna e a inchiostro di china neri – in tal senso appropriatamente definiti approssimativi. Così è stata data al personaggio di Pinocchio una connotazione un po’ simile a quella di un fluttuante schema mentale, evanescente, non a cromie intense capaci per questo per così dire di fungere da blocco all’immaginazione dei lettori. Questa caratteristica di leggerezza e approssimazione ha appunto quale effetto concomitante la liberazione dell’immaginazione del lettore che può ricreare secondo la sua personalità il personaggio, ossia l’approssimazione di Mazzanti nei disegni riguardanti Pinocchio non dà luogo a una figura che si sovrapponga troppo in primo piano al processo di introiezione da parte di coloro che leggano la vicenda narrata da Collodi come al contrario accade nelle illustrazioni qualora queste siano a tinte forti e tratto marcato.
Tralasciando l’ampia carrellata di ulteriori opere di arte visiva di artisti italiani e stranieri e venendo agli adattamenti cinematografici, è particolarmente interessante la realizzazione che tutto il mondo conosce, quella di Walt Disney (1940). Tale film d’animazione presenta “una marcata trasformazione già a partire dall’ambientazione dove l’originaria Toscana viene sostituita da un piccolo villaggio alpino, ma anche i personaggi risentono di questo cambiamento” (55). Pinocchio è diventato nordico come mostrano gli occhi azzurri e i calzoncini di cuoio alla tirolese e bavarese nonché il cappellino con la piuma e anche i personaggi principali del racconto collodiano subiscono in Disney una profonda trasformazione. Leggiamo nella Chiolo (56-57):
“(…) Anche Geppetto in questa versione assume un aspetto diverso: non è più un falegname burbero ridotto in miseria ma al contrario, si mostra una persona molto affabile che svolge la professione di intagliatore di orologi a cucù, giocattoli di legno e carillon all’interno ella sua casa-bottega. Allo stesso modo viene apportata qualche modifica per il grillo parlante, il quale ricopre un ruolo centrale nella scena. Esso diventa infatti la voce narrante e allo stesso tempo la coscienza di Pinocchio (…) rispetto alla versione originaria, qui il grillo non viene non viene ucciso col martello da Pinocchio; il grillo costituisce la sua guida, è colui che segue il burattino per tutta l’intera vicenda calandosi addirittura con lui nel fondale marino per salvare Geppetto (…)”
La Chiolo mette in evidenza numerose e fondamentali divergenze tra il Pinocchio di Collodi e quello di Walt Disney che, a parte uno schematico soggetto, ha fatto del racconto collodiano una rappresentazione che ha non molto a che fare con l’originale cui manca tutta la drammaticità, la tenebrosità, anche il realismo talora spietato che ispira il racconto nel profondo. Il Pinocchio disneyiano, narra la Chiolo, è diventato personaggio del sogno americano, dell’ideologia americana, dell’ottimismo dell’uomo che si fa sé e che deve tutto al suo spirito pionieristico, concetti che si possono individuare realmente nel libro di Collodi, ma che tuttavia, privati dell’humus concettuale ed emozionale, profondo, di Collodi e pur nel diritto alla libera interpretazione, hanno per così dire snaturato il racconto di Collodi non arricchendolo, bensì privilegiando una certa superficialità di facile effetto e cancellando proprio i temi che hanno fatto assurgere a pieno diritto questa fiaba unica al mondo nella letteratura per adulti.
Una riflessione va dedicata anche al film di Benigni (2002) quanto ai cambiamenti che il regista ha attuato rispetto all’idea che informa tutta l’opera di Collodi stando alla sua base, molto sofferta e tutt’altro che spensierata come interpreta liberamente quanto permanendo nella superficie semantica Benigni, così che fa di Pinocchio l’elogio dell’irresponsabilità a vita, ciò che appunto non c’è in Collodi come testimonia la sua celebre opera oltre alla sua sofferta esistenza. Secondo Benigni, tra le altre trasformazioni, Pinocchio non smette mai di dire bugie, così che anche alla fine mentirebbe. Scrive la Chiolo 63-64):
“(…) Secondo il regista nell’epilogo Pinocchio mente per l’ennesima volta quando di fronte al padre dice di professarsi contento per essere diventato un ragazzo per bene. La sua bugia deriva da un profondo dispiacere nel lasciare andare quel corpo di marionetta a cui si era affezionato e che lo aveva accompagna to nel corso delle sue avventure con la spensieratezza e la libertà che avevano contraddistinto le sue giornate. Adesso invece tutto si ribalta. Pinocchio è chiamato a conformarsi ai doveri della società. Nel finale del film si vede Pinocchio davanti la scuola mentre sul muro compare l’ombra del burattino con il suo berrettino a punta. Quando Pinocchio entra a scuola quell’ombra resta fuori e vola via insieme alla farfalla. Come si può osservare da questa scena l’ombra di Pinocchio continua a mantenersi identica dall’inizio alla fine perché identica rimane la sua anima. Il regista nel finale del film, dunque, ci mostra il suo punto di vista che trascende quello del romanzo: il burattino continua ad esistere nonostante Pinocchio sia diventato ormai un bravo ragazzo. Secondo quanto afferma lo sceneggiatore Vincenzo Cerami Pinocchio dice quest’ultima bugia perché in lui è ancora presente quel burattino (…)”
La Chiolo nel suo commento all’interpretazione di Benigni relativa al libro di Collodi salva per così dire Benigni dicendo, tra l’altro, che “probabilmente l’idea che Roberto ci regala col suo Pinocchio è positiva poiché ci fa ben sperare che in ogni umano rimanga viva – anche se nascosta – la leggerezza e la capacità di gioire anche di fronte alle piccole cose della vita, proprio come nei bambini” (64). Riflettendo sul commento della Chiolo, l’avverbio “probabilmente” utilizzato dall’Autrice indica come la stessa, nella fattispecie, dia molto sapientemente al proprio giudizio la qualità del dubbio, della non certezza, ossia indichi esplicitamente quanto del tutto rispettosamente la sua perplessità di fronte a un’interpretazione che pone il modello del burattino – aggiungo un aiuto per la memoria: che ha la testa di legno come segno di una non eccellente capacità di comprensione – quale identità immutabile dell’umanità, come se l’umanità volesse sempre avere la testa di legno o non potesse avere altro, ciò che non si trova affatto nella poderosa ideazione di Collodi.
A favore del film di Benigni, la Chiolo cita anche l’opinione dello studioso Salvatore Consolo che a conferma e anzi ad esaltazione dell’esegesi di Benigni fa sfociare Pinocchio nell’area del divino sostenendo come il burattino dalla testa di legno come sentenziato dalla saggezza del Grillo sia “l’ipotiposi della divina libertà che non conosce legami e costrizioni sociali”, come se il burattino di Collodi contagiasse con la sua leggerezza – aggiungo: e anche sbadataggine infantile e fanciullesca –, nonché libertà dalle costrizioni sociali la divinità stessa, sciolta anch’essa da obbligati legami qualsiasi nel suo mondo.
Passiamo infine alle due opere teatrali scelte per la conclusione della Tesi dalla Chiolo: si tratta del dramma in tre Atti della Mascialino Profondo Pinocchio (Cleup 2006), ancora mai rappresentato, e il Pinocchio inedito dello straordinario drammaturgo Franco Scaldati rappresentato per la prima volta nel 2021.
La Chiolo si sofferma su alcune delle numerose e fondamentali innovazioni esegetiche portate dalla Mascialino in seno alla critica, specificamente alla semantica che informa nel profondo l’opera di Collodi. Citando da Liviana Filippina Cava Chiolo (27-33, 115):
“(…) L’opera di Collodi contiene al suo interno un universo sconfinato di significati. Una storia che di primo acchito può sembrare semplice e divertente, ma in realtà esprime molto di più poiché – a mio avviso – si tratta di qualcosa paragonabile al famoso vaso di Pandora. È un testo dunque che può essere letto e interpretato attraverso due angolazioni diverse: quella più superficiale dei bambini e quella più profonda e riflessiva degli adulti. Colei che ha scoperchiato in assoluto questo vaso è proprio la studiosa Rita Mascialino, la quale ha scavato fino in fondo conferendo un’interpretazione molto arguta per ciò che concerne la semantica dell’opera (…) La Mascialino, dunque, riporta esplicitamente nel dramma in modo diretto e palese, ciò che nel testo di Collodi è implicito, o meglio dire mimetizzato implicitamente in superficie, nascosto apparentemente, ma rinvenibile attraverso la sua approfondita e meticolosa analisi semantica (…)”
Una riflessione particolare riguarda specificamente la capacità del testo, di qualsiasi testo, di dire la verità, ovviamente attraverso un’analisi oggettiva dei contenuti. Ad esempio, la figura di Geppetto, come diversamente nell’adattamento di animazione cinematografia di Walt Disney presentato più sopra dalla Chiolo, non risulta essere, nella Mascialino e come evidenziato dal commento dell’Autrice, il buon uomo della superficie della fiaba, ossia la Mascialino attraverso la sua analisi semantica mette in evidenza quanto sta nascosto, ma non troppo, nel testo collodiano, come è stato perfettamente colto dalla Chiolo. Si legge, tra i molti ulteriori esempi citati dalla Chiolo, nel Capitolo dedicato al dramma Profondo Pinocchio (116, 119):
“(…) [In occasione dell’arresto di Geppetto, questo] continua difendersi, a giustificarsi e a dare la colpa al povero burattino. Apparente4mente questo arresto sembra un abuso di potere ingiustificato, ma in fondo è proprio ciò che si merita il cattivo genitore incapace di educare il figlio e colpevole di aver manipolato il nasino di Pinocchio. In superficie quindi Geppetto risulta la vittima mentre in realtà, se scaviamo a fondo, la Mascialino lo presenta come un genitore sconsiderato ‘che si autogiustifica e non si rende neppure conto che la sua meta di fare del figlio un burattino al suo servizio è già di per sé, senza che venga aggiunto altro, una colpa degna del carcere’ ”
L’argomento, centrato in pieno dalla Chiolo nella sua Tesi e riferito all’importanza della qualità genitoriale, risulta del tutto pertinente e anche più che mai nell’attualità, dove pare che i genitori, non tutti, ma comunque troppi e capaci quindi di dare i contorni più negativi ai giovani e con essi alla società, abbiano da tempo abdicato non solo al diritto, ma al dovere di loro spettanza relativamente alla formazione morale e sociale dei figli. Pinocchio, nell’analisi della Mascialino, diviene un eroe della diversità: è di legno, quindi diverso dagli altri e svantaggiato – la testa di legno, come afferma di Pinocchio il Grillo Parlante, riguarda un modo dire relativo alla scarsa intelligenza di qualcuno –, ma aiuterà il tonno nel suo proprio habitat, ossia: da diverso quale è nell’ambiente marino e non terrestre, sarà lui che salva il tonno dalle fauci dello squalo; diventerà un uomo come gli altri e meglio degli altri grazie a se stesso e al suo buon cuore, non manipolato da Geppetto, come manca qualsiasi riferimento esplicito e implicito nel testo di Collodi; si forma sulla strada, senza provvidi insegnamenti, le prediche della Fata Turchina non possono servire in luogo degli insegnamenti mancati; è diverso, secondo quanto sta nel testo, anche nel lato sessuale, come gliene ha dato eredità Geppetto nella sua oscura casa senza luce ed è a pieno titolo un eroe della diversità, argomenti collodiani anche questi del tutto pertinenti in seno alla società odierna an cora sotto il peso di tanti nocivi pregiudizi verso i cosiddetti diversi. Afferma la Chiolo al proposito (119):
“(…) Alla fine Pinocchio è davvero l’eroe della diversità, un Pinocchio profondamente innovato sul piano p0uramente esegetico relativo al testo di Collodi: da discolo impenitente a ragazzo responsabile che deve al burattino del suo passato la sua nuova vita. Una riscrittura, Profondo Pinocchio, che porta con sé una storia diversa di Pinocchio, un a storia diversa di Pinocchio, una storia aderente al significato ‘profondo’ appunto del messaggio espresso da Collodi (…)”
La Chiolo, in seno alla totale libertà di ciascun critico alla sua esegesi delle opere, sottolinea l’importanza dell’analisi semantica del testo, che può portare a innovazioni anche importanti, evitando così il conformismo prolungato nelle esegesi critiche, così essa si augura al proposito che tale dramma venga un giorno rappresentato teatralmente (2).
Da ultimo, l’Autrice tratta la prima rappresentazione (2021) del testo teatrale inedito di Pinocchio dell’eccezionale drammaturgo Franco Scaldati (119):
“(…) Un altro straordinario capolavoro teatrale che ha preso forma nel 2021 grazie alla collaborazione tra il Teatro Stabile di Catania e la regista Livia Gionfrida è il Pinocchio del drammaturgo palermitano Franco Scaldati. Un testo inedito scritto in dialetto siciliano rimasto incompiuto dallo Scaldati il quale non presentava sin dall’inizio alcuna forma teatrale ma che mediante il contributo della regista Livia Gionfrida – adattamento, regia, scene e costumi – è stata realizzata quale eccezionale pièce (…)”
La Chiolo mette in evidenza come il testo di Scaldati porti alla luce la teoria darwiniana della lotta per l’esistenza dove ha la meglio il più forte sul più debole e chi si adatta più facilmente all’ambiente in cui vive (121):
“(…) Il Pinocchio di Scaldati ‘è una storia di poveri, emarginati, di innocenti (…) Umorismo e tragedia si intrecciano.coem tutto il percorso di questo grande poeta si intrecciano, come in tutto il percorso di questo grande poeta siciliano, cantore sempre degli ultimi (…)”
Scaldati mette in evidenza, come ben sottolinea la Chiolo, il dramma che connota la vicenda di Pinocchio, povero e sfortunato burattino di cui i più furbi si prendono gioco agevolmente, in senso esteso, il popolo svantaggiato dalle contingenze esistenziali in cui si trova a vivere in una società che privilegia i più forti o, più esattamente, i più violenti, i più disonesti.
Termina la Tesi quanto l’attrice Aurora Quattrocchi dice rivolgendosi a Franco Scaldati ormai non più nel mondo: “Francuzzu, hai fatto bene ad andartene, questo non è più tempo di poesia, di poeti. Oggi c’è solo immondizia” (121).
Una riflessione, questa su Franco Scaldati e sulla società odierna, amara, ma piena di verità, in base alla quale nel disorientamento che connota l’umanità a livello planetario sembra che non vi sia più posto per la poesia, in senso esteso per l’arte e domini la prepotenza e il sopruso del più violento, mentre l’onesto e il più capace, il non violento debba soccombere.
Liviana Filippina Cava Chiolo al termine della discussione della Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’. Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Umanistiche DISUM.
La Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo, attraverso la presentazione ragionata di rilevanti campioni della critica su Pinocchio, ha sottolineato nella diversità delle interpretazioni presentate i corrispondenti diversi punti di vista degli uomini, la loro diversa collocazione di fronte all’ingiustizia, di fronte alla realtà del Pinocchio collodiano offrendo così un importante spaccato prospettico della cultura, delle varie impostazioni sociali che la permeano.
A conclusione di queste Riflessioni, ricordiamo che Pinocchio, se vuole uscire dal carcere, deve dichiararsi colpevole anche se non lo è e allora riceve l’autorizzazione a fruire dell’amnistia e anzi gli viene dato il passo come a un gran signore quando esce dalla galera dove era stato ingiustamente rinchiuso dal giudice. In altri termini: Pinocchio deve sottomettersi ai delinquenti se vuole avere dei diritti. Punto di vista che si addice anche ai giorni nostri, non solo al pensiero ottocentesco, come mostrano le battaglie sul ruolo della magistratura italiana che infuriano senza che si possa intravedere, al momento, una soluzione equa del problema, tale che dia maggiore giustizia al popolo degli onesti, di tutti coloro che non sono in grado di opporsi ai soprusi dei più forti. Ma ci arriva ancora da Collodi il più bel messaggio, quello della bontà, del cuore generoso di Pinocchio. È su questo che la società deve riflettere, è su questo che la Tesi di Liviana Filippina Cava Chiolo fa riflettere nel suo importante lavoro culturale, esegetico.
Rita Mascialino
NOTA
*La Tesi di Laurea dal titolo Pinocchio tra palco e pellicola di Liviana Filippina Cava (Pietraperzia CT), studiosa che non conoscevo, mi è stata gentilmente omaggiata dalla stessa visto che dà ampio spazio a due mie opere relative a Pinocchio (1883) di Collodi, il saggio Pinocchio: Analisi e interpretazione (Cleup Editrice Università di Padova 2004) e il dramma in tre Atti Profondo Pinocchio (Cleup 2006), omaggio di cui ringrazio caldamente la giovane e valente laureata. La Relatrice, Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina, è docente di Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche DISUM dell’Università degli Studi di Catania, redattrice di “Arabeschi, Rivista internazionale di studi su letteratura e visualità”, inserita dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, tra le “Riviste di Classe A“-ANVUR per tutti i settori dell’Area 10, e di “Siculorum Gymnasium, a Journal for the Humanities”, rivista della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania. Tra gli ulteriori incarichi dirige diverse Collane letterarie per la Casa Editrice Bonanno.
_________________________________________________________________________________________________
Lascia un commento