RITA MASCIALINO, “DESPEDIDA”, ROMANZO DI STEFANO MAGNI: ANALISI E INTERPRETAZIONE

Rita Mascialino, “Despedida”, romanzo di Stefano Magni: analisi e interpretazione

 

Stefano Magni è docente di Letteratura Italiana, Moderna e Contemporanea presso l’Università Aix-Marseille, Aix-en-Provence, Francia.  Ha pubblicato, oltre alle numerosissime ricerche relative alle discipline citate e agli incarichi accademici di cui è titolare, studi tra l’altro riguardanti le due Guerre Mondiali, gli scritti politici di  G.A. Borgese, la varia cultura, anche studi sulla  relazione tra la storia e la letteratura. Scrive romanzi.

Il romanzo Despedida (Pasian di Prato UD: Campanotto Editore: 2018) di Stefano Magni ha come sfondo l’ambiente del tango argentino che l’Autore conosce con precisione di dettaglio per essere egli stesso da lungo un appassionato cultore di tale musica e danza. Il titolo si riferisce esplicitamente alla despedida, all’esibizione  che chiude la performance dei ballerini di questa specialità. Il termine ha anche un ulteriore significato nell’ambito della metafora come ultimo ballo cui non seguiranno altri nel futuro, un po’ come una chiusura per sempre da parte del tanguero – vedremo quale sia la natura della  despedida nel contesto del romanzo.

Molto brillante lo stile narrativo: fluido, sciolto pur nella descrizione puntualissima delle varie figure interpretate da entrambi i danzatori, che sembrano portare nella scrittura i passi del ballo e i ritmi e le arie della musica, così che anche chi non conoscesse il tango o la milonga, ad esempio, può immaginare i passi di danza mentre i ritmi in cui sono intessute  le parole lo trasportano nel vortice dell’aria musicale stessa, in quello che è un vero gioiello stilistico di Stefano Magni. Ottima anche la capacità di tenere desta la suspense nella successione degli sviluppi della vicenda, che appaiono in un crescendo di intrigo e mistero fino alla sorprendente risoluzione del dramma.

Seguono alcuni cenni con qualche approfondimento riferiti alla trama generale dell’opera onde circostanziare i temi più importanti del messaggio espresso nel romanzo. Dunque l’atmosfera erotico-drammatica di cui è compenetrato emozionalmente il tango argentino domina la narrazione che dà vita ai protagonisti: Armando Amado e Lucia Pagliai, la sua compagna sul palcoscenico e nella vita. Il carattere macho di Armando non sottostà alle regole del buon vivere. Armando non è uomo tranquillo, sente profondamente la natura del tango che incarna in sé non solo nel ballo, ma anche nella sua esistenza vivendola drammaticamente: è dedito all’alcol e alla droga, ha rapporti sessuali con qualsiasi donna si offra a lui soggiogata dal suo carisma, dal fascino erotico che sprigiona la sua persona, ciò che non favorisce una buona relazione con la sua partner. In questo ambiente di successo e di mete sempre più grandiose di Armando accade un evento che scombina in modo definitivo i piani di entrambi: Armando ha un incidente con la macchina e perde l’uso delle gambe. In questa situazione si inseriscono temi importanti e senz’altro audaci, di cui più avanti nell’analisi, tra cui il tema dell’invidia. Tale sentimento è rappresentato nel personaggio di Antonella, ipocrita e perfida malgrado la sua appartenenza ad un’associazione religiosa incentrata sulla spiritualità, appartenenza di cui essa si fa scudo per raggiungere le sue mete impostate secondo l’invidia senza quartiere che la divora da sempre nei confronti di Lucia, sin dai tempi in cui erano ragazzine. È molto interessante questa raffigurazione di una donna tanto malvagia come Antonella da parte di Magni che mostra di conoscere alla perfezione l’animo femminile, nella fattispecie, nel negativo, soprattutto la capacità di mentire, di dissimulare, di fare del male con l’uso dell’inganno e della perfidia verso chi essa invidia, non una lotta aperta dunque e almeno con qualche tocco di lealtà, una lotta in cui mostrare la propria faccia, il proprio valore, non una competizione come avviene più di frequente nell’ambito maschile, ma una battaglia al femminile con armi nascoste, così che la persona si avveda della tagliola tesa ai suoi piedi quando già vi sia caduta dentro. Nel romanzo la natura dell’invidia è raffigurata con artistica maestria narrativa, così che quasi possa apparire quale presidio femminile. Aggiungendo un chiarimento a proposito dell’invidia come secondo l’ampio spazio che occupa nel romanzo: di fatto si tratta di un sentimento che affligge soprattutto i deboli, di preferenza quindi, anche se non solo, le donne, mentre nell’ambito maschile prevale in genere la competizione, sebbene anch’essa armata di colpi bassi, ma in generale in una più aperta battaglia  sulla base di fatti concreti. Lucia stessa, pur non invidiosa, comunque non è una figura del tutto positiva almeno all’inizio della vicenda, quando non ha ancora avuto il suo bambino: abbandona senza scrupoli Armando alla sua sorte dopo che ha avuto l’incidente e coltiva una relazione con un altro ballerino, Matteo, di cui resta appunto incinta. Intanto Antonella si avvicina nascostamente ad Armando con cui ha avvia una relazione per poter prendere lezioni di tango da lui, lo stesso fa con Matteo, non interessato al figlio con Lucia, divenendo la sua ballerina e la sua donna, aggirando fino all’impossibile Lucia, cui non resta che guardare impotente il loro successo, il personale successo della falsa amica, tutto ciò raccontato con profondità di conoscenza psicologica da Stefano Magni che entra nelle pieghe più nascoste della personalità della donna, delle donne, di un tipo di donna. Anche i maschi, dalla personalità comunque meno falsa e in sostanza più aperta, non ci fanno una bellissima figura, soprattutto nel fatto che si lascino manipolare dalle donne più negative, come avviene sia per Armando sia per Matteo i quali  cadono essi stessi nelle maglie di Antonella. Interessante è il fatto che Matteo, che Lucia considera un mediocre sia come ballerino che come persona, sia quello più pronto a dare ascolto ad Antonella, comunque senza tramare egli stesso per invidia, ma lasciando il brutto ambito nelle mani della donna. Quando la verità viene a galla, Lucia, che ha già il suo bambino in quanto non ha dato retta a Matteo che avrebbe preferito l’aborto, propone ad Armando, cui si è riavvicinata, di organizzare lezioni di tango per disabili ed esibizioni degli stessi in sedie a rotelle appositamente elaborate per la migliore riuscita funzionale ed estetica del ballo.  Armando accetta, affezionandosi anche al piccolo dal nome che ripete quello del padre biologico: Matteo.

Qui si inserisce uno dei due temi più grossi e anche più spinosi del romanzo: l’accettazione della propria disabilità e la volontà di esercitare uno sport o la danza o qualsiasi altra attività pur con tutto il peso della diversità. Armando, che ha smesso di drogarsi e di bere, accetta e ha successo in questa impresa, supportato magnificamente dalla famiglia, da Lucia la quale, dopo che è diventata madre, è più umana verso di sé e verso Armando, verso il prossimo – non pensa di vendicarsi di Antonella –, non lo abbandona e anzi cerca di sostenerlo infondendogli coraggio e fiducia, collaborando concretamente alla riuscita del progetto. Tuttavia, quando l’Internacional, una manifestazione  importante di tango a livello mondiale, non li accetta ritenendoli solo collaterali, non più interessanti e magari capaci di rovinare il pavimento con le carrozzine nonché l’estetica dell’evento stesso, allora Armando ha un crollo interiore. Non sa se continuare a vivere o meno, tanto intensa è la nostalgia per il passato dove non era collaterale e dominava centralmente il palcoscenico sulle sue agili gambe, tanto grande è l’umiliazione subita:

“(…) Anche tu sei meraviglioso, non lo eri prima, lo sei adesso.

-Sono un meraviglioso handicappato che si è illuso di poter ancora ballare e invece può solo far sorridere i venditori di protesi.

-Armando, quello che hai creato è unico.

-Un castello di sabbia. Alla prima marea scomparirà.

-Hai regalato un sogno a decine di persone, stai facendo sperare migliaia di disabili nel  mondo; eri un faro nel tango, ora sei la stessa polare…

-Dei falliti (…)”

 

Molto rilevante e, come anticipato, anche audace e contro corrente è il problema posto da Magni riguardante il valore delle esibizioni sportive e di danza nei portatori di protesi: mentre tutto il mondo approva tali tentativi di recuperare uno scopo nella vita da parte di questi umani sfortunati, Armando mette in primo piano quella che secondo lui è solo una farsa, un prodotto del mercato, nulla che possa veramente interessare il pubblico, ossia Stefano Magni mette in primo piano sia l’illusione, nel protagonista, di poter essere di nuovo interessante, di poter essere come gli altri, sia la realtà di tale impossibilità, del fallimento insanabile. Vengono poste sulla bilancia molto direttamente, senza edulcorazioni di sorta, diverse modalità nell’affrontare le disabilità a livello fisico, dalla rassegnazione all’accettazione, alla volontà di sfruttare comunque nel migliore dei modi possibili il dono irripetibile della vita, di realizzare i propri sogni anche se in sedicesimo rispetto alle possibilità degli altri più fortunati, al rifiuto di qualsiasi rimedio visto come illusorio. Ma per accettare tutto ciò, insegna l’Autore, bisogna saper essere umili e saper amare, ciò che il suo protagonista pare non essere più in grado di realizzare, interessato principalmente a sé, al trascorso splendore a base di abilità, sebbene anche di droga e di alcol, così che rimpiange la sua figura di maschio appunto macho che crede di non poter più impersonare, macho che ora invece potrebbe essere più massicciamente dovendo affrontare la disabilità, come gli sta consigliando di fare la sua donna che lo ama. In altri termini: non gli interessa essere utile agli altri, adattarsi per trarre vantaggio dallo svantaggio sia per sé, sia per gli altri svantaggiati che credono in lui, al contrario si lascia abbattere da un rifiuto, da un’offesa e ritiene pertanto di suscitare solo pietà, come anche crede che gli altri disabili la suscitino come lui stesso malgrado qualche pietosa o interessata apparenza contraria, per cui decide di togliersi la vita – in un finale a sorpresa.

Ma il titolo del romanzo, Despedida, implica anche un ulteriore tema che rientra nella più profonda risonanza semantico-emozionale intrinseca all’ultimo ballo non solo del ballerino, ma anche a quello che, sul piano della metafora, la vita impone all’uomo, ossia il tema dei temi: il declino delle forze che sta al centro del senso da dare alla vita quando essa, per chi non la lasci da giovane, ha una parabola discendente cui non è sempre agevole adattarsi e si approssima la morte certa, irrimediabile, la despedida immancabile per tutti. In altri termini: quando la bellezza e le forze vengono meno sempre più rapidamente e inesorabilmente, si è presto fuori dal gioco, fuori  dall’arena della competizione, dei propri sogni da realizzare, ciò in una rinuncia al bello della vita che è duro accettare. Un importante tema questo, che Stefano Magni espone con sapienza diegetica inglobato e quasi nascosto nella maggiore evidenza data al tema della disabilità grave, il tutto descritto in significativi dettagli e tenendo sempre desta l’attenzione di chi legga interessato all’evolversi del dramma. Certo la disabilità che colpisce dall’inizio della vita o dalla gioventù o maturità non coincide con il declino che colpisce nell’età che va senescendo e che affligge ogni essere umano. Tuttavia nella decadenza delle forze attribuibile alla vecchiaia affiora quasi impercettibilmente proprio nella speciale polisemia del titolo un problema più profondo, più grande ancora della disabilità nell’età giovanile come è quella di Armando, il tema dei temi, il più destabilizzante: il citato avvicinarsi della morte per ogni umano, per così dire dell’handicap più definitivo, quello che comporta l’abbandonare ogni progetto che richieda tempo e ne richiedono sempre tutti seppure in diversa misura, una misura che non può più stare nelle mani dell’uomo, tema posto nella semantica del titolo, come accennato, molto abilmente – e anche sinistramente – serpeggiante sotto diverso aspetto.

Nel finale del romanzo di Magni la Despedida è dunque sì l’ultimo ballo, ma anche il saluto prima di lasciare la vita, tuttavia come abbiamo accennato più sopra si tratta di una despedida speciale, cui il gioco presago di un bambino può fare e fa da contrappeso. Quando Armando subisce il rifiuto dell’Internacional sprfonda a terra non volendo più continuare a vivere e di fatto si lega la corda al collo, si arrampica e si impicca. Ma, nel finale appunto, si intravede una speranza, forse non più alla portata di Armando o forse sì, ma in ogni caso alla portata di tutti gli uomini, disabili e non, vecchi e sempre più disperatamente vicini al momento di abbandonare la vita, più propriamente, è il caso di dire, di tutti gli uomini di buona volontà: la corda cede, si spezza, ma non per caso, proprio là dove il figlio di Lucia, che lo chiama papà, l’ha mezzo bruciata giocandoci con l’accendino, con la fiamma dell’accendino. Non la nostalgia di ciò che non può più essere – il passato brillante di Armando –, non il desiderio di un’abilità – che non c’è più come prima –, ma l’affetto per l’uomo, per il prossimo che Armando sembra non sentire o non sentire più e che il piccolo cuore di Matteo sente per Armando con la fiamma del suo amore, così che gli dà sul piano per così dire inconscio una possibilità di vita: di fatto Armando precipita al suolo, ma non riesce ad impiccarsi e forse si può salvare. Magnifico finale, in cui giocano la loro carta gli affetti più sinceri, quelli dei bambini che possono nella loro innocenza come nessun altro dare la forza agli umani di vivere la loro esistenza fino in fondo, per il tempo e nelle modalità che la sorte loro riserva. Matteo non sa che i suoi giochi con la corda  potranno forse salvare il papà, come lui crede che Armando sia, tuttavia è la sua manina che fa spezzare la più pesante corda, quella approntata dalla morte.

In questa recensione si è data, necessariamente, solo una sintesi dei temi importanti del romanzo Despedida che sono non pochi esposti da Stefano Magni nel suo sempre emozionante stile romanzesco.

Infine concludendo, a fronte di tanti sogni interrotti o irrealizzabili, la speranza di vita non muore e sorge nella visione del mondo dell’Autore dagli affetti più veri, per eccellenza dagli affetti dei piccoli, dal miracolo della vita al suo sorgere. In genere sono le donne a dare importanza all’affettività come è una connotazione del loro lato materno quando venga stimolato – e abbiamo visto come non sia sempre così. In questo romanzo è un uomo, Stefano Magni, che pone nel finale del suo racconto, quando il dramma volge in tragedia, la possibilità di salvezza data dall’affetto, dalla capacità di amare come sanno amare i piccoli, senza remore, entro l’ambito della quale paiono essere in funzione anche antenne inconsce atte a superare l’insensibilità della più superficiale apparenza, affetto che si presenta come base poderosa della vita.

                                                                                                       Rita Mascialino

 

Recensione pubblicata anche su ritamascialino.blogspot.com

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