‘PINOCCHIO TRA PALCO E PELLICOLA’ di LIVIANA F. C. CHIOLO: RECENSIONE

Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo: Recensione

di Rita Mascialino

(Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo – Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo: Recensione

di Rita Mascialino

(Tesi di Laurea ‘Pinocchio tra palco e pellicola’ di Liviana Filippina Cava Chiolo – Anno Accademico 2021/22, Università degli Studi di Catania DISUM Dipartimento di Scienze Umanistiche, Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Simona Agnese Scattina)

Il lavoro, accurato e profondo, di Liviana Filippina Cava Chiolo fa rivivere il più grande racconto di Collodi in uno stile razionale e nel contempo immaginifico, adatto a penetrare nella mente dei lettori suscitando riflessioni ed emozioni. Dapprima viene offerto uno scorcio relativamente alle più autorevoli opere di critica letteraria per poi dare ampio spazio agli adattamenti artistici, filmici e teatrali. L’opera è suddivisa in tre Capitoli maggiori a loro volta suddivisi in Sottocapitoli forniti essi stessi di titolo esplicativo del contenuto. Si fa seguire qui una – necessariamente limitata – scelta di autori per dare una prima idea del metodo di lavoro della Chiolo, che non si limita a informare, ma penetra anche nel profondo delle opere critiche citate non tralasciando per altro qualche opportuna informazione e giudizio sulla vita di Collodi.

Ad esempio, è interessante quanto Piero Dorfles (Le palline di zucchero della Fata Turchina. Indagine su Pinocchio, 2018: 170, 171) riporta attorno al giudizio su Collodi stesso da parte degli studiosi in generale, come è citato dalla Chiolo (op. cit., 3):

“Carlo Lorenzini viene descritto dagli studiosi come: ‘un bevitore incallito, un patriota liberale e un giornalista polemico spesso in disaccordo con direttori ed editori’ (…), un uomo di talento, incontestabilmente, ma di dubbia maturità, spesso risentito, certo incostante, con tratti infantili, come il suo personaggio più famoso. Forse proprio i suoi difetti e queste sue caratteristiche, di essere rimasto immaturo e un po’monello, di essere di umili origini ma toscano verace (…) gli hanno permesso di scrivere un libro dalla fortuna e dalla longevità ineguagliabili e dalle prodigiose sfaccettature.”

Viene trattato inoltre Italo Calvino che identifica nell’opera tonalità picaresche, elementi fantastici e atmosfere tenebrose, nonché leggi soprannaturali (Chiolo op. cit., 8). Benedetto Croce afferma che Pinocchio rappresenta l’intera umanità nel suo processo di crescita e formazione (Chiolo op. cit., 9.), giudizio di Benedetto Croce, secondo la Mascialino (Pinocchio: Analisi e interpretazione, 2004) forse un po’ azzardato viste le vicissitudini di Pinocchio, alcune delle quali piuttosto gravi e non formative, nonché non comuni per fortuna a tutta l’infanzia, a tutta l’umanità. Afferma nel prosieguo la Chiolo (op. cit., 7): “La grandezza di questo scrittore viene riconosciuta dall’inequivocabile giudizio di Gianfranco Contini, che colloca Pinocchio, senza esitazioni, nella ‘grande’ letteratura”, ciò che diremo taglia la testa al toro data l’autorevolezza indiscussa del critico. Particolarmente interessante è l’individuazione della fondamentale dinamica del divenire come secondo la critica della Chiolo stessa riguardo alla presenza di non poche trasformazioni fino a quella finale da burattino di legno in ragazzo, una dinamica che regge tutta la storia come acutamente rileva la Chiolo citando in dettaglio tutte le trasformazioni cui va incontro Pinocchio da essa riscontrate. Quanto alla trasformazione finale, ci dice la Chiolo (op. cit., 38):

“Tuttavia, il finale di Pinocchio non mette tutti d’accordo. Alcuni non sono disposti ad accettare che il burattino ribelle si mostri disposto ad accantonare la sua libertà iniziale per trasformarsi definitivamente in ragazzino ammodo. Al contrario i bambini invece, mostrano grande entusiasmo nel leggere soprattutto le ultime pagine di questo romanzo; per loro rappresenta motivo di gioia immaginare che il loro eroe di legno dopo varie prove e sfide è divenuto finalmente un ragazzo in carne ed ossa.”

A onore del vero, si potrebbe concordare di più con i bambini: secondo la Mascialino, come cita la Chiolo diffusamente, la libertà di cui gode Pinocchio burattino e che ha affascinato molti critici come segno di ribellione lo porta a brutte esperienze, tra le quali non proprio degni di una vita vissuta in onore della libertà e della ribellione sono soprattutto il contatto con l’Omino dello sciagurato Paese dei Balocchi e la drammatica trasformazione in asino dalle orecchie lunghe da nascondere, non solo relativa all’assenza del rendimento scolastico. Alquanto interessante è il Capitolo 2 in cui vengono presentate le principali opere d’arte e illustrazioni nelle varie tecniche concernenti Pinocchio, nonché opere filmiche. Introduce gli illustratori  Enrico Mazzanti (Dedola in Chiolo op. cit., 41), l’illustratore di Pinocchio scelto da Collodi:

“Mazzanti si aggiudica il privilegio di essere l’illustratore prediletto di Collodi. Mazzanti realizza più di sessanta illustrazioni a penna o a inchiostro di china mettendo a fuoco il carattere del personaggio piuttosto che lo sfondo, i paesaggi, gli esterni e gli interni, i quali sono invece accennati e sono lasciati di proposito alla fantasia del lettore, proprio come fa il testo che di tanti particolari non fa parola”.

Carlo Chiostri al contrario, l’illustratore dell’edizione di Pinocchio del 1901 dà invece spazio alla descrizione degli ambienti inserendo così Pinocchio nella campagna toscana di fine Ottocento e così via, ogni illustratore è anche interprete, spesso grande interprete dei personaggi che rappresenta e ciascuno dà il suo contributo di fedeltà e originalità, come si legge in Chiolo che cita i più famosi illustratori di Pinocchio fino ai giorni nostri regalando al lettore preziose informazioni critiche su tali opere che non sono in generale note come le opere dei critici letterari sul tema. Ad esempio anche Lorenzo Mattotti illustra Pinocchio in edizione francese del 1990 con la particolare tecnica dei pastelli a cera in colori accesi, disegni che vengono pubblicati anche in Italia da Fabbri Editori nel 2001con immagini di dimensioni che occupano l’intera pagina. Molto interessante risulta anche l’edizione del 2019 ancora di Mattotti pubblicata da Bompiani quasi come opera omnia del disegnatore relativamente a Pinocchio, un’opera che raccoglie tutti i disegni già apparsi. Sono presentati anche illustratori stranieri, tra cui l’inglese Grahame Baker, i fumettisti inglesi Tim Mcburnie e David Chauvel, i quali alleggeriscono l’atmosfera cupa che aleggia talora – e anche spesso – nell’originale creazione di Collodi, ma appunto, ciascun artista inserisce inevitabilmente e in generale qualcosa della sua personalità nelle illustrazioni a sua firma, ciò che la Chiolo specifica con acutezza interpretativa. Essa dedica un intero Sottocapitolo, il 2.2, anche al Pinocchio inserito nella propaganda fascista (op. cit., 53 e segg.):

“Durante tutto il ventennio fascista vengono pubblicate numerose storie che assumono il nome di pinocchiate fasciste le quali sono facilmente reperibili all’interno dei periodici o come libricini destinati ai bambini. In questi racconti dunque il contesto è quello del regime fascista che cerca di accattivarsi la simpatia dei più giovani esercitando in essi un buon ascendente. Come spiega il professor Luciano Curreri [Intervista ‘Il mito di Pinocchio’ in “Il tempo e la Storia”, 28 nov. 2014, rayplay.it], si tratta di una “propaganda birichina e accattivante” la quale riesce a mettere in campo un Pinocchio fascista in grado di trasmettere ai ragazzi quelli che sono i principi del regime ma in maniera scherzosa. Fra le varie pinocchiate fasciste ricordiamo (…) le illustrazioni di Giove Toppi, dove in copertina si riporta l’immagine di Pinocchio che incarna perfettamente il modello di balilla con fez e camicia nera, manganello e olio di ricino, mentre sottomette un burattino, ovvero il «nemico comunista e barbuto, alla Karl Marx, tartassato per tutto il racconto. Qui Pinocchio viene descritto come «un ragazzino a modo che mantiene l’ordine nel quartiere»”.

Anche alcune tra le più importanti trasposizioni cinematografiche vengono presentate e commentate, ad esempio fra l’altro il lungometraggio di Walt Disney del 1940. Si legge sul Pinocchio di Walt Disney (Chiolo op. cit., 55-56), reso simile un po’ all’americano Topolino:

“Rispetto al testo collodiano, questo film d’animazione presenta una marcata trasformazione già a partire dall’ambientazione dove l’originaria Toscana viene sostituita da un piccolo villaggio alpino, ma anche i personaggi risentono di questo cambiamento: «il burattino, dai nordici occhi azzurri, indossa un costume di tipo tirolese/bavarese, calzoncini corti con banda laterale decorata, gilet nero, fiocco azzurro e cappello con piuma».”

Meno fortunato il Pinocchio del pur importante film di Benigni che non ha trovato il successo di pubblico e critica che si aspettava. Sono anche trattate opere attualissime, realizzate con tecniche avanzate. Tra le altre il film d’animazione realizzato con la complessa tecnica stop-motion riguardante la manipolazione di ogni fotogramma e diretto da Guillermo del Toro con la collaborazione di Mark Gustafson del dicembre 2022 sulla piattaforma Netflix. Spiega la Chiolo (op. cit., 75):

“Questa tecnica di animazione è tra le predilette dal regista e richiede tra l’altro una grande dose di pazienza e di tempo. Essa consiste nel muovere progressivamente degli oggetti inanimati – in questo caso dei pupazzi –, spostarli e fotografarli ogni volta che essi devono assumere una posizione diversa; in questo modo la proiezione di queste diapositive una dopo l’altra senza interruzioni contribuisce  a rendere l’illusione del movimento.”

Quanto al terzo Capitolo sulle rappresentazioni teatrali, esso dà informazioni ragionate su diverse rappresentazioni e proprio nel teatro, più ancora che nel film, il Pinocchio di Collodi raggiunge apici espressivi. Il primo autore che si incontra è Carmelo Bene, che ha riscritto quattro volte la rappresentazione di Pinocchio per il teatro, esprimendo sapientemente il suo dissenso per l’edulcorazione della fiaba di Collodi, soprattutto concernente Geppetto e la Fata, personaggi che appaiono scarsamente intelligenti. In Antonio Latella si ha un Pinocchio fortemente anticonformista e molto originalmente innovativo, per fare un esempio: il naso di Pinocchio si allunga non perché o non solo perché dica bugie, ma per una curiosità di vivere, di vedere il mondo che per realizzarsi rende quasi necessaria la piccola bugia, inoltre, cosa molto inquietante e sconvolgente, la Fata risulta essere un personaggio alquanto sinistro che cerca di «avere da morta quello che non avuto in vita, un figlio» (Scattina in Chiolo op. cit., 94, Il corpo plurale di Pinocchio. Metamorfosi di un burattino, «Arabeschi», n. 10, in www.arabeschi.it), e che rivela a Pinocchio di non essere buona come lui ingenuamente crede, bensì il contrario: una Fata cattiva. Vengono passate in rassegna le rappresentazioni teatrali della Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, che ricalcano fedelmente il testo originale (Chiolo op. cit., 99). Inoltre il Teatrino ‘vivente’ di Zaches Teatro, originale nella rappresentazione che fonde insieme più linguaggi artistici: la danza contemporanea, l’uso della maschera, la musica elettronica (Chiolo op. cit., 106). Giunge poi il Capitolo 3.5 che riguarda il dramma ‘Profondo Pinocchio’ (2006) di Rita Mascialino basato su un’analisi dettagliatissima del testo di Collodi già pubblicata nel 2004, dove la tradizionale interpretazione dell’opera di Collodi viene innovata profondamente e oggettivamente in base alla semantica del testo analizzata senza distrazioni di sorta né lacune o salti nel testo, esegesi che vede quadrare coerentemente tutti i risvolti semantici, così che Pinocchio alla fine diventa nella Mascialino l’eroe della diversità che deve tutto il suo progresso a se stesso, al suo buon cuore che resta illeso in tutte le traversie e certo non è dovuto  a Geppetto e alla Fata, personaggi la cui vera sconvolgente realtà viene scandagliata in profondità dall’autrice, come Liviana Chiolo afferma con ampia evidenza di citazioni e suoi commenti alle stesse (op. cit., 27, 115, 2):

“L’opera di Collodi contiene al suo interno un universo sconfinato di significati. Una storia che a primo acchito può sembrare semplice e divertente ma in realtà esprime molto di più poiché – a mio avviso – si tratta di qualcosa di paragonabile al famoso vaso di pandora. È un testo dunque che può essere letto e interpretato attraverso due angolazioni diverse: quella più superficiale dei bambini e quella più profonda e riflessiva degli adulti. Colei che ha scoperchiato in assoluto questo vaso è proprio la studiosa Rita Mascialino, la quale ha scavato fino in fondo conferendo un’interpretazione molto arguta per ciò che concerne la semantica dell’opera (…) La Mascialino, dunque, riporta esplicitamente nel dramma in modo diretto e palese, ciò che nel testo di Collodi è implicito, o meglio dire mimetizzato implicitamente in superficie, nascosto apparentemente, ma rinvenibile attraverso la sua approfondita e meticolosa analisi semantica  (…), drammaturgia mai rappresentata a teatro con la speranza, un giorno, di poterla dare alle scene.”

Molto interessante è la presentazione del capolavoro siciliano (2021) dovuto alla collaborazione tra il Teatro Stabile di Catania e la regista Livia Gionfrida, ossia il Pinocchio del drammaturgo siciliano Franco Scaldati (Chiolo op. cit., 119, 120):

“Un testo inedito scritto in dialetto siciliano e rimasto incompiuto dallo Scaldati il quale non presentava sin dall’inizio alcuna forma teatrale ma che mediante il contributo della regista Livia Gionfrida – adattamento, regia, scene e costumi – è stata realizzata questa eccezionale pièce. Il debutto è stato accompagnato da «due Conversazioni su Franco Scaldati», appuntamenti di grande spessore culturale mirati ad approfondire il lavoro del creativo drammaturgo palermitano mediante la partecipazione di vari critici e studiosi di teatro di tutta Italia. La prima giornata di approfondimento si è tenuta l’8 luglio 2021 presso l’Auditorium di Palazzo della Cultura di Catania con il titolo La tradizione del nuovo (…). Coinvolto in questo progetto anche il Monastero dei Benedettini, nonché sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania che ha ospitato presso l’Auditorium la seconda giornata di approfondimento – tenutasi il 9 luglio 2021 – sul tema E se Pinocchio parlasse siciliano? A moderare questa conversazione su Franco Scaldati la professoressa Stefania Rimini, insieme alla partecipazione delle studiose di teatro Simona Scattina   e Cristina Grazioli, i critici teatrali Filippa Ilardo e Tommaso Chimenti, l’attore Melino Imparato, la regista Livia Gionfrida e a presenziare anche l’intera compagnia teatrale. Il Pinocchio dio Scaldati e della Gionfrida, ricalca naturalmente la storia del mitico burattino collodiano inserendo a sua volta quell’inconfondibile impronta tra stile comico e tragico che rende facilmente riconoscibile la produzione dello scomparso drammaturgo palermitano. Ciò cui il pubblico assiste: «è un collage di emozioni, di sogni, di buio e luce, di interrogativi, di ironia, di lotta per sopravvivere, di brutalità e miserie umane» (Giordano, ‘Pinocchio’ dramma, 18 luglio 2021, in www.dramma.it). A fare da sfondo a questa rappresentazione teatrale «tra luminarie, carri funebri e siciliani» è proprio la Sicilia con i suoi mille colori, sapori e volti”.

Prima della fitta bibliografia finale, chiude il magnifico scenario esegetico dei più autorevoli critici, dei più famosi film e delle più straordinarie pièce teatrali presentato da Liviana Chiolo – con metodologia sempre attenta sia all’informazione sia al significato delle varie opere – una emozionalmente molto suggestiva serie di immagini relative a illustrazioni, film e rappresentazioni teatrali che rendono con viva pregnanza l’atmosfera fiabesca e misteriosa dell’opera di Collodi.

 



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