RITA MASCIALINO, ‘LE VOYAGE’ DI CHARLES BAUDELAIRE: ANALISI E INTERPRETAZIONE
RITA MASCIALINO, ‘LE VOYAGE’ DI CHARLES BAUDELAIRE: ANALISI E INTERPRETAZIONE
Precede questa analisi e interpretazione delle due strofe finali del poemetto in versi alessandrini di Charles Baudelaire (Parigi 1821-1867) Le voyage (1857), Il viaggio, il testo delle due ultime quartine VII-VIII, poemetto che sta a conclusione della celeberrima silloge poetica Les fleurs du mal (1857), I fiori del male. Seguono dapprima il testo originale francese e la traduzione, in cui è ritenuta centralmente rilevante la semantica dei termini Verse– e réconforte del primo verso dell’ultima quartina. Ho scelto le due ultime strofe del poemetto perché, oltre ad essere in piena sintonia con il significato dell’intero poemetto, possiedono un massimo di atmosfera, come in un’opera sinfonica a sfondo tragico che termini con i suoni sovrastanti di bassi capaci di riempire la mente e il corpo delle più potenti emozioni, un po’ come, per così dire analogicamente, i bassi subentranti massicciamente in alcuni finali nella musica di Wagner.
Testo francese delle due quartine da https://www.poetica.fr/poeme-448/charles-baudelaire-le-voyage/
VII
Ô Mort, vieux capitaine, il est temps! levons l’ancre!/
Ce pays nous ennuie, ô Mort! Appareillons!/
Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’encre,/
Nos cœurs que tu connais sont remplis de rayons!/
VIII
Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte!/
Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,/
Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe?/
Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!//
Immagine: https://parigi.italiani.it/charles-baudelaire-200-anni-fa-nasceva-il-piu-bel-fiore-del-male/
Traduzione di Rita Mascialino
VII
O Morte, vecchio capitano, è tempo! leviamo l’ancora!/
Questo paese ci annoia, o Morte! Salpiamo!/
Se il cielo e il mare sono neri come inchiostro,/
I nostri cuori che tu conosci sono pieni di raggi!/
VIII
Versaci il tuo veleno perché ci riconcili!/
Noi vogliamo, tanto questo fuoco ci brucia il cervello,/
Tuffarci nel fondo dell’abisso, Inferno o Cielo, che importa?/
Nel fondo dell’Ignoto per trovare il nuovo!//
Un paio di note preliminari riguardanti il linguaggio poetico di Baudelaire e la traduzione italiana di un particolare termine. Sempre nella semantica del linguaggio va compreso il significato di superficie e quello più profondo, livelli entrambi presenti attraverso la polisemia dei termini da identificare secondo i più vari contesti, questo tanto più in un poeta per definizione simbolista come Baudelaire che giunge a fare della poesia un capolavoro creativo di rispondenze segrete, di scenari che mutano in base alle angolazioni da cui vengono osservati l’esperienza, il mondo. Quanto alla traduzione, non sempre l’apparente corrispondente della lingua di arrivo, come è insito nelle difficoltà dei passaggi interlinguistici, corrisponde al significato dei termini stranieri di partenza, come vedremo subito anticipando tale specifica problematica insita nel testo di Baudelaire e portatrice di significati ardui da ridare – tuttavia non del tutto impossibilmente.
Il primo termine in questione è réconforter, sottolineato appositamente nel testo francese citato in questo studio. Questo verbo, dal latino, è composto di cum e fortis, per cui, nelle sue parti significa fortificare, consolidare, nei livelli concreti e astratti – il prefisso verbale latino cum-, piuttosto incomprensibile nel termine, viene considerato come avente perso nel tempo qualsiasi significato valido, divenendo semanticamente inerte, ciò che in questo studio non si condivide, come vedremo fra poco, e che cambia la consueta interpretazione. Al proposito il verbo italiano riconfortare, identico nella forma esteriore a réconforter, è composto di confortare preceduto dal prefisso ri– che indica ripetizione, rafforzamento del significato del verbo con cui è composto e che nella fattispecie è appunto confortare, il quale verbo è utilizzato meno esplicitamente come rafforzare, rinvigorire, più comunemente come consolare, ossia lenire la sofferenza e simili. Riconfortare significa in italiano solo confortare di nuovo, consolare di nuovo, significato che nel contesto baudelairiano non ha senso e neanche in un’interpretazione interlinguistica. Molti traducono réconforter con riconfortare che sembra il corrispondente. Solo che riconfortare appunto non esiste in italiano altro che come confortare di nuovo e non specificamente rafforzare – questo verbo significa per altro sempre, ribadendo, fortificare di nuovo, ciò che implica che si fossero perdute le energie in precedenza. Ma in precedenza, all’inizio del viaggio e durante, i cervelli sono in fiamme proprio per l’energia estrema che la partenza dà ai viaggiatori, per cui la ripetizione per dare forza perduta o indebolita appare fuori luogo: non c’è qualcuno nel contesto che consoli la prima volta, né conseguentemente la seconda volta come ripetizione della prima eventualmente insufficiente. In francese per altro rafforzare si dice molto corrispondentemente renforcer, che il poeta non ha scelto per la sua poesia e che quindi, se possibile, va evitato in una traduzione. Renforcer–rafforzare, nelle due lingue, è un verbo la cui polisemia è limitata ai due piani concreti e astratti, non come tonalità semantica di qualche peso in sé, ossia per intenderci: significa sempre e ovunque rafforzare come fortificare di nuovo, in aggiunta per così dire, qualsiasi siano i contesti, concreti o astratti. Chiarendo ancora: il significato univoco di rafforzare, renforcer, in francese è stato escluso da Baudelaire, che ha scelto in sua vece il più polisemico réconforter, diversamente dal corrispondente italiano eventuale riconfortare che non ha senso se non come confortare o consolare di nuovo. A questo punto ci si deve chiedere che cosa mai il poeta abbia voluto intendere con la scelta di un verbo, réconforter, dalla polisemia più complessa che il più semplice renforcer nel caso avesse voluto significare rafforzare, scelta quella di réconforter che farebbe propendere per l’esclusione dei significati di confortare e anche di rinvigorire presi in sé.
Escludiamo che tale verbo possa dunque significare unicamente rafforzare: il viaggiatore non chiede al veleno della Morte – nella straordinariamente simbolica strofa successiva di cui fra poco – di rafforzarlo, di corroborarlo, non ne ha alcun bisogno, è lui stesso che chiama la Morte per imbarcarsi nel vascello, per intraprendere il viaggio nell’Ignoto. Escludiamo ancora di più che il significato sia unicamente quello di consolare di nuovo: il viaggiatore non deve essere consolato da nessuno, non sta chiedendo conforto o consolazione, né sta chiedendo il coraggio, la forza di suicidarsi alla Morte in quanto ha già di suo il coraggio di morire, non ha bisogno di incoraggiamenti, a quanto sta nel contesto del poemetto in generale e in particolare nel tono delle due quartine stesse. Di fatto, non trascurando il testo, ossia tenendone sempre il dovuto conto, è lui a invitare la Morte a fare il viaggio, è lui a voler fare compagnia alla Morte volendosi imbarcare con essa che è il vecchio capitano rispetto al poeta che è la persona giovane. Insistendo ancora, è lui che nelle due ultime strofe apostrofa la Morte al proposito, è lui che pare quasi essere il capitano nella situazione o per lo meno alla pari con il vecchio capitano, cui dà l’ordine di imbarcarsi – Baudelaire adopera il modo imperativo al plurale con un noi, la Morte e se stesso con lui, assieme a lui, in un’immagine ricca di sovrapposizioni semantiche audaci come lo è sempre il linguaggio profondamente simbolico del poeta. Caso mai, in un’analisi estrema del testo, è il poeta che può dare coraggio al capitano per l’impresa straordinaria. Molto interessante e sorprendente semanticamente: mentre nel resto del poemetto il noi si riferisce ai viaggiatori, all’umanità in generale compreso il poeta, qui nelle due quartine finali il noi può riferirsi solo al poeta e alla Morte, come vedremo.
Ricapitolando in poche parole: nel primo verso (VII) sta il termine ‘ancre’, ‘àncora’ che trova un riscontro nel terzo verso nella pronuncia di ‘encre’, ‘inchiostro’, generalmente inteso, se privo di specificazione cromatica, di tinta nera, così che salpare o sollevare l’ancora o levare o togliere l’ancora coincida con levare o sollevare l’inchiostro, ossia il nero di cielo e mare pur opposti nelle spazialità verso l’alto e verso il basso, di tutto il mondo quindi, ossia come risulta chiaramente dal testo: la Morte viene apostrofata ed evocata come il capitano della nave che salpa assieme al protagonista, in accordo con lui: levare l’ancora che, trattandosi della nave capitanata dalla Morte, disancora la vita dalla vita. In altri termini: nei due sostantivi identici nella pronuncia l’ancora, ciò che tiene ancorata la vita alla vita, viene a coincidere con l’inchiostro, con il nero, anche con la Morte stessa – l’oscurità non è simbolo consueto per la vita, ma per la morte. Qui la Morte è sentita sul piano concreto come una liberazione dall’inchiostro della vita, dal suo nero, dalla sua noia, da ciò che non vi è di positivo in essa, questo confermato dal fatto che la Morte sa come i cuori degli uomini, compresi i poeti, siano pieni di raggi luminosi che essa libera dall’ancora-inchiostro come accennato. Va tenuto presente che in questi versi dedicati al poeta e alla Morte, anche la Morte si annoia nel paese in cui vive l’uomo ed essa stessa deve stare all’ancora avendo voglia di salpare, non solo il poeta, e pare parta volentieri con lui consapevole dei raggi di luce che stanno nei cuori di entrambi, di vita e morte – la Morte conosce questi raggi perché, nel contesto sottilissimo entro cui si muove Baudelaire, la Morte è una componente della vita come sua parte estetica più lontana da essa, meno vitale come concreta realtà dell’esistere –, un po’ come se il viaggio proposto dal poeta sia anche per essa interessante, questo sempre secondo quanto sta nel testo. Il riferimento del poeta a se stesso e all’umanità nelle strofe precedenti alle due ultime si delinea negli otto versi finali come rapporto tra il viaggiatore e la Morte, tra il poeta e la Morte per l’ultimo viaggio sul piano simbolico, che è quello più profondo e meno evidente, ma più coerente per il viaggio più speciale.
Veniamo ad ulteriori chiarimenti. Nel primo verso dell’ultima strofa sta l’altro verso importante nella semantica del pezzo. Il veleno della Morte mostra una significativa polisemia nella coincidenza della forma scritta di ‘verse-nous’ come imperativo del verbo verser, versare, con vers, dal latino ‘versus’, ‘riga’, ‘verso’ o per così dire riga della poesia, come se l’arte stessa, in una delle speciali rispondenze simboliche nel linguaggio molto sottilmente simbolico e poetico di Baudelaire, fosse un veleno affine alla morte, ossia arte come ipersensibilità che si avvicina per questa rarefazione della vita alla morte stessa. Da notare: il vers, verso, che nella grafia è associato a verse-, nella pronuncia ver viene a coincidere con ver, verme, animale associabile all’ambito della Morte, quasi come suo simbolo principe, ciò che nel contesto avvicina la Morte come presenza sul piano concreto e su quello simbolico come più sopra esposto, ossia i due piani che il poeta concilia o riconcilia nell’arte. Ribadendo: quindi nella grafia verse– si accompagna a vers come verso o riga, nella pronuncia vers come verso coincide con ver, verme. Coincidenza casuale? Senz’altro no, Baudelaire, oltre ad essere un parlante la lingua francese abituato alle somiglianze di grafie e uguaglianze di pronunce in vari termini, è uno dei massimi poeti francesi e del mondo intero, per cui mai potevano essergli estranee le assonanze, i giochi grafici possibili nella sua lingua, nella sua arte poetica, giochi che, se appunto solo casuali e non graditi, avrebbe molto facilmente cancellato. Nel contesto per altro, al di là di ulteriori possibilità di coincidenze semantiche di vario genere tra i termini, i concetti testé esposti formano un campo simbolico individuabile e coerente nei diversi e complessi livelli espressivi. Riprendendo ancora: la Morte dapprima è chiamata quale capitano della nave dal poeta che vuole finalmente imbarcarsi con lei e partire; nella strofa successiva essa è di nuovo chiamata a versare il veleno che nel piano concreto porta appunto la cessazione della vita. Si tratta tuttavia di un veleno speciale quello della Morte secondo il poeta, un veleno che riconcilia l’uomo in generale con il suo cuore colmo di luce, come la Morte sa, e il poeta stesso in particolare con tutto il male del vivere. Ma non è tutto. La Morte conosce il cuore del poeta e anche il proprio in cui stanno i raggi o la luce simbolica: come fa a conoscerli? Li conosce sul piano meno concreto e più simbolico, sul piano estetico, è una Morte, in tal caso, di natura squisitamente estetica. Allora la riconciliazione avviene tra la vita e la Morte intesa come rarefazione della vitalità nell’estetica, nell’arte, nella poesia, così questa Morte conosce i raggi del cuore del poeta – e i propri – come realtà dell’inconscio più nero, più profondo, più lontano dalla vita. È in questa zona abissale che avviene la riconciliazione tra vita e speciale Morte, tra vita e arte, tra vita e immaginazione estetica.
Tornando qui dopo aver chiarito il contesto e il testo a réconforter, che non si può tradurre in italiano con riconfortare pena la caduta nel risibile, si è sempre di fronte al medesimo scoglio offerto dalla scelta di Baudelaire per tale verbo polisemico che non può significare né rafforzare né consolare presi in sé, perché in tal caso sarebbero senza senso, come è stato mostrato o tentato di mostrare. In renforcer o revigorer, ricapitolando ancora, il significato è univoco sia nel concreto che nel metaforico. Dopo aver valutato il poemetto unitamente alle due quartine finali emerge con evidenza il perché Baudelaire abbia scelto una tale verbo. Lasciando stare le sfumature sia di rafforzare che di consolare, che ci sono, ma solo che prese insieme si annullano l’un l’altra come abbiamo visto l’attenzione si riversa sui due prefissi presi come prefissi. Allora si rivela il gioco a dir poco straordinario di Baudelaire con la semantica delle parole: ré– significa di nuovo e con– dal latino cum significa in compagnia, assieme, ossia di nuovo assieme. Allora si inserisce il significato di riunire, riconciliare sottostante alla molto particolare celta di Baudelaire. E questo è il significato, nascosto ad uno sguardo non analitico, di superficie e frettoloso, che il poeta ha voluto del tutto verosimilmente esprimere e che è pienamente coerente con la semantica dell’intero poemetto, un significato da cui renforcer, revigorer e conforter vanno esenti. Nell’interpretazione data il prefisso ré– tanto problematico esplica tutta la sua valenza come ripetitivo in unione al prefisso con-, perché si tratta di ritorno a un unione che c’era precedentemente, una precedenza che si inserisce nel vasto scenario della vita e della Morte, come testé mostrato. Nel contesto spira una brezza di – straordinaria – riconciliazione finale tra gli opposti più estremi della vita con la morte stessa, di cielo e inferno, di alto e basso, al di là di quella che resta la tragedia rappresentata dal veleno della morte nella superficie del messaggio, una tragedia attorno alla quale si affaccia una qualche sfumata tonalità di rinvigorimento, mai di consolazione, per questa manca qualsiasi atmosfera di ripiego su se stessi. Una conciliazione che si evidenzia, si fa per dire, nella messa in primo piano di tali prefissi che solitamente sono posti in secondo o anche ultimo piano, tanto da far pensare che i prefissi di ré-con-forter abbiano perduto il loro valore semantico con il trascorrere del tempo. Ma nulla mai va perduto dell’enorme pressoché infinito magazzino di significati rappresentato da linguaggio di parole, che può sempre essere considerato – a questo provvedono in buona parte le etimologie e in qualche buona parte le analisi semantiche per altro. Proprio i valori semantici citati sono stati considerati in pieno da Baudelaire, detto con totale certezza esegetica visto il generale contesto e la maiuscola del termine Morte. La coincidenza degli opposti testé citata si potenzia sia in una coincidenza degli opposti, sia una riconciliazione di opposti come secondo le romantiche filosofie idealistiche in un ritorno a una originaria unione di tali opposti: ribadendo, della vita e della Morte, dell’alto e del basso, dello spirito e dell’istintualità più profonda, di cielo e inferno, di ancora di salvezza e nero dell’inchiostro, di origine della vita e di ritorno all’origine. Il cervello è così vivificato dal vicino viaggio – di ritorno – da bruciare nel contempo al fuoco inestinguibile della creatività dell’uomo – del poeta – liberata dal levare l’ancora-inchiostro, uomo come irriducibile esploratore della vita e della morte, nel caso appunto il poeta, l’artista, fuoco proprio della vita nella sua massima espressione creativa. Già nel corso del poemetto si parla du cerveau plein de flamme, del cervello pieno di fiamma per la partenza alla scoperta del mondo. Un fuoco che, dopo aver visto il viaggiatore tanto mondo senza averne trovato vantaggio, dà il coraggio nel finale di tuffarsi nell’abisso più profondo e sconosciuto, dove sta la vita nella sua più audace manifestazione come sottile veleno – Morte – di ambito estetico precipuamente nell’arte, là dove chi osa tuffarsi nel massimo profondo, ossia nell’inconscio più nero conglobante o conciliante cielo e inferno, vita e Morte – e non affatto consolante alcunché – , può trovare il nuovo, la novità. Il poeta possiede tale coraggio fino all’ultimo, quando è prossimo a levare l’ancora assieme al vecchio capitano, in un impeto insopprimibile – a proposito di contrasti – di potente passione per la vita, con il cui doppio di cielo e inferno si riconcilia, come chiede o, più precisamente, offre alla speciale Morte con la quale attua tale grandiosa ed estrema riconciliazione, quasi come in un ritorno all’origine ignota all’uomo. La cosa strabiliante: il viaggio verso l’Ignoto non è conosciuto, nelle due strofe, neanche dalla Morte che salpa con la sua nave essa stessa verso l’Ignoto – non è solo il poeta che viaggia verso l’Ignoto, ma la Morte stessa che conosce il cuore degli umani, del poeta e, come più sopra, anche il proprio, ma non l’Ignoto verso cui viaggeranno, un Ignoto che racchiude anche i raggi stessi di luce, che sono tuttavia chiusi nei cuori, ignoti anch’essi nella vita normale, annoiante e solo schiusi al senso estetico più rarefatto, più artistico, all’arte poetica – così dalla semantica insita nel testo cui l’analisi si attiene. Il termine verse–nous si rivela fondamentale in questa interpretazione: il veleno versato dalla Morte non solo al poeta, ma ad entrambi, il poeta e la Morte stessa – così nel testo secondo questa esegesi –, rivela la duplice natura del vecchio capitano, che sul piano della concretezza e della metafora fa cessare la vita, nella semantica dei versi poetici è la morte come simbolo dell’estrema sensibilità estetica, quindi portatrice essa stessa in primis del sottile veleno dell’arte, di un’arte lontana dalla vita e più vicina nell’estrema rarefazione della ipersensibilità alla morte, questo sul piano della più profonda simbologia baudelairiana: come super ipersensibilità capace di coincidere con un dissolvimento della vita tale da avvicinare questa simbolicamente alla morte, come anticipato più sopra, in un molto romantico cupio dissolvi che sembra far sfociare la vita nel suo dissolvimento, in una riconciliazione – romantica – dei più grandi opposti e, nel contempo, nella più potente passione per la vita che comprende anche la Morte intesa come testé, vicina al più sottile godimento estetico. Potente passione per la vita artistica dunque, non per la morte concreta e meno che mai per il suicidio, nel poeta pronto a tuffarsi nel più profondo Ignoto, quasi un novello Empedocle, che voglia ardere con il fuoco più intenso del centro della terra in cui si getta – l’inferno baudelairiano – e non certamente passione per la morte intesa comunemente come cessazione dell’esistere o invocata nel più banale suicidio poetico e concreto. Per chiarire: se si trattasse di queste ultime opzioni esegetiche, il forte o fortissimo pathos dei versi diventerebbe risibile e con esso tutto il poemetto, ciò che potrebbe anche essere, ma che non è, come emerge alla luce di un’analisi profonda dell’estremo simbolismo baudelairiano, perciò Maestro dei poeti simbolisti. Solo accennando: né vi è nel poemetto e tanto meno nelle due quartine finali alcun accenno a una fede religiosa qualsiasi nell’al di là – Baudelaire era ateo.
Per concludere la breve analisi delle due quartine: nel poemetto vi sono accenni molto consistenti alla poesia Eldorado di Edgar Allan Poe, non solo in quanto viene citato esplicitamente il paese stesso Eldorado ignoto e sognato dall’uomo, dall’artista (Mascialino 1998). Citando dalla lirica Eldorado di Poe: il poeta è un viaggiatore che viaggia per tutta la vita “(…) In sunshine and in shadow (…)”, ‘Di sole al chiaro e all’ombra’ (trad. di Mascialino 1999: 28-29). Soprattutto la spazialità dell’alto e basso, di luce e ombra, per così dire nella più intensa ciclotimia estetica, artistica, regge tutta la lirica di Edgar Allan Poe e anche Le voyage nella sua struttura profonda, essenziale. Come anche è presente la shakespeariana “(…) undiscover’d country (…)”, ‘terra non scoperta’ della Morte (Mascialino, https://www.youtube.com/watch?v=6lyFNGzHFgk), il tutto in una elaborazione originale che ha reso immortale anche Charles Baudelaire. Tralasciamo qui la accennata comparazione più dettagliata riservandola ad un futuro studio.
Così, in questa breve e schematica interpretazione dei bellissimi versi di Baudelaire.
RITA MASCIALINO
Opere citate:
-Ernout, A. & Meillet, A. (1985) Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des Mots. Paris: Klincksieck: 833.
-Mascialino, R., (1999) Edgar Allan Poe: Interpretazioni. Pasian Di Prato UD: Campanotto Editore. In Interpretare, Rivista Internazionale per l’Analisi del Testo Filosofico e Letterario (Dir. Resp. Rita Mascialino): 1-2, 283.
-Mascialino, R., Studio sulla traduzione letteraria. https://www.youtube.com/watch?v=6lyFNGzHFgk .
22 settembre 2022. Fotografia: Studio Fotografico Valentina Venier – Udine, Via Grazzano 38.
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