RITA MASCIALINO: LA BARBA DEL ‘MOSÈ’ DI MICHELANGELO: ANALISI E INTERPRETAZIONE

RITA MASCIALINO: LA BARBA DEL ‘MOSÈ’ DI MICHELANGELO: ANALISI E INTERPRETAZIONE

“Vorrei soffermarmi su un paio di dettagli semantici del Mosè di Michelangelo individuati secondo la loro spazialità dinamica (Mascialino 1997 e segg.). Al proposito non citerò qui le molto interessanti delucidazioni esistenti di tipo storico e culturale, né terrò conto della famosissima analisi di Freud esposta in grande dettaglio nel suo studio specifico del Mosè. Evidenzierò invece uno dei numerosi e importanti tratti caratteristici della scultura più celebre del mondo, inserendola in cenni di comparazione semantica con altre opere, ossia illustrerò tra gli altri un Leitmotiv che ricorre in molte opere – i testi artistici – di questo straordinario genio italiano, toscano, nato in un paese dell’aretino (Caprese 1475-Roma 1564). Introduco l’analisi con una premessa relativa a una mia lontana reazione di sorpresa, che insorse mentre osservavo da ragazza con grande interesse le statue che Michelangelo scolpì per la tomba di Giuliano de’ Medici nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, rappresentanti allegoricamente Il giorno e La notte. La statua alla mia sinistra, La notte, era quella che stavo osservando in particolare, associandola spontaneamente nella mia età giovanile al corpo elegante e leggiadro, efebico, del David. La statua scolpita sulla tomba in San Lorenzo mi era sembrato raffigurasse un magnifico maschio giovane e altrettanto leggiadro del David, con non grosse differenze fisiche dovute, come credevo, alla diversa postura: sensualmente in piedi il David bellissimo nel volto, nei capelli e nel corpo, nell’atteggiamento audace  e sicuro di sé, anche un po’ arrogante; sensualmente ed eroticamente sdraiato, in atteggiamento di semi abbandono, quello che ritenevo un uomo simile all’altro per l’aspetto di eleganza. Guardando e riguardando ammirata la statua sulla tomba per carpirne i significati profondi, dopo lungo osservare dunque mi era capitato di prendere casualmente contezza di due seni femminili. La mia sorpresa fu come uno sbigottimento. Guardai comunque ancora alla ricerca di un eventuale quanto improbabile sesso maschile, ma appunto non poteva esserci e non c’era, era proprio una donna. Sbalordita per non essermene accorta prima, stetti ancora a lungo a guardare la statua da tutte le parti per capire da dove fosse provenuto il mio crasso errore di valutazione – il maschio scolpito alla mia destra era molto diverso, maschile in tutto e quasi vecchio a prima vista, una statua, rappresentante Il giorno, che non aveva ancora attirato la mia attenzione, cominciando io per consuetudine ad osservare da sinistra. Scoprii presto tuttavia in luogo dell’impossibile pene un gufo stretto e semi nascosto tra le gambe della figura, in collocazione vicino al sesso, quasi un suo sostituto, una sua estensione a livello simbolico. Certo il gufo è animale notturno adatto a rappresentare la notte e molto altro, ma nel contesto dell’opera spicca la sua simbologia più generale di ordine sessuale. Tale uccello poteva essere posto in altro luogo allontanando così qualsiasi, immediata, associazione al sesso maschile, di cui gli uccelli sono assieme ad altri, come ad esempio il serpente, simboli privilegiati nella cultura umana da tempi antichissimi, preistorici. Ma Michelangelo lo ha posizionato all’attaccatura interna delle cosce della cosiddetta figura femminile, dotandola così di un fallo sul piano metaforico. L’associazione con Leda è riscontrabile, ma in senso diversificato: il cigno nel mito, spesso rappresentato fu accanto al sesso della donna, rappresenta il fallo di Zeus, mentre il gufo, nel contesto della donna in questione somigliante ad un leggiadro uomo, sta, al di là di ogni allegoria possibile che qui non ci interessa, per il di lei sesso maschile. In altri termini: l’uccello posizionato quasi nascostamente e strettamente fra le cosce della donna, allegorismi a parte, non può significare altro che un sesso maschile, un fallo, come, pur diversamente, il cigno era un fallo e certamente un uccello posto alla giuntura delle cosce ben poco altro poteva significare. In questo contesto i seni della donna, di cui non avevo preso atto durante la mia lunga osservazione pur avendoli senza dubbio percepiti nella visione inconscia, sembrano quasi giustapposti, meno naturali di come possono essere nella realtà delle cose al proposito. Ora tale mescolanza tra maschio e femmina non è cosa sporadica né tanto meno unica in Michelangelo, ma è un suo Leitmotiv costante e profondo, importante – vedi anche i due seni femminili all’aspetto nella statua di Giuliano posta nel retro in alto sulla tomba in questione -, uno dei tanti contrassegni rilevanti relativi alla sua arte, un po’ come la firma semantica della sua personalità che mescola, non fonde, il maschio con la femmina, quasi, in un audace parallelo, Michelangelo abbia precorso i tempi con figure per così dire trans, ossia di sesso maschile e di seno femminile. Anche nella Cappella Sistina si nota una molto molto appariscente mistura con tratti maschili in sue figure femminili, anche nella Pietà Vaticana, alla cui mescolanza dei generi, non fusione, non amalgama, dedicai uno specifico studio di undici pagine una ventina di anni fa, nel 2002 (Cleup). Sottolineo la non fusione armoniosa dei due generi, bensì la presenza del miscuglio eterogeneo, in cui le varie sostanze conservano separatamente la loro identità. Che Michelangelo sia stato forse o di sicuro o non sia stato bisessuale, non ci interessa, è compito dei biografi stabilirlo o confutarlo, non dei critici. Nei suoi testi però – ciò che è quanto interessa, tra tutto il resto, l’analisi semantica appunto del testo –, ossia nelle sue opere la bisessualità o l’omosessualità o, più esattamente, la predilezione per il corpo e la natura cosiddetti trans ci sono indubitabilmente, ossia ancora: il femminile nella visione di Michelangelo non esclude il maschile, ma non si amalgama o fonde in un unisex, coesiste individuabile separatamente dal maschile nello stesso corpo, questo secondo la semantica per come sta espressa in numerose, molto

numerose sue opere. Motivo questo per cui avevo scambiato il corpo della Notte nella basilica con un corpo maschile, anche se non crassamente espresso come ad esempio in molte figure femminili della Cappella Sistina, altrove.

Nell’immagine: il “Mosè” di Michelangelo, San Pietro in Vincoli, Roma. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/59/Michelangelo%27s_Moses_%28Rome%29.jpg
Riferimento alle Tombe Medicee: http://www.arte.it/notizie/firenze/lunga-vita-a-michelangelo-completato-il-restauro-della-sagrestia-nuova-18405 Sagrestia Nuova. Michelangelo Buonarroti, Tomba di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours, dopo il restauro I Foto Antonio Quattrone, 2020 I Courtesy Musei del Bargello

Riferimento alla Nascita di Venere, Sandro Botticelli. https://www.quattroinviaggio.it/la-nascita-di-venere-di-botticelli-spiegata-ai-bambini/

Venendo adesso alla barba del Mosè e alla mano destra che si intreccia in essa, lasciando qui stare qualsiasi altra considerazione possibile, vediamo che si tratta di una barba non ispida, non lanosa, non incolta, non proprio maschile, bensì fluente morbidamente a volute e molto lunga, come una estetica chioma di aspetto marcatamente femminile. Un po’ quasi come i capelli della Venere (1485) di Sandro Botticelli (Firenze 1445-1510), per intenderci sul piano visivo. La barba-chioma è posta in bella vista, frontalmente e fra due dita che rappresentano, nello specifico contesto, il Leitmotiv del doppio. Michelangelo proiettato, come vedremo con qualche dettaglio, in Mosè accarezza in un gesto ben evidenziato una chioma femminile, come se, sempre restando nell’ambito del testo, abbracciasse una specie di se stesso femminile, questo a prescindere da qualsiasi altra considerazione possibile di cui qui, come anticipato, non mi occupo, interessando solo il Leitmotiv individuato e riconoscibile in tante altre opere. Ma non solo. Molto, molto interessante, sempre nel contesto michelangiolesco e specificamente mosaico, è ancora un aggancio alla citata opera botticelliana: Venere si copre il sesso femminile con l’estremità della sua capigliatura tenuta dalla mano sinistra, mentre il Mosè di Michelangelo, tenendosi l’estremità della barba o chioma spazialmente sul sesso, la collega ad esso, ossia pone l’attenzione sul sesso – sottolineiamo ancora che anche la mano destra è pure in posizione affine a quella della mano destra nella Venere. Non si tratta però di sesso femminile, ma di quello maschile in un capolavoro di profonda semantica estetica. Somiglianze nella diversità: Venere si copre pudicamente il sesso indubbiamente femminile e il seno, Mosè evidenzia la presenza del doppio accarezzando la sua barba-chioma come i capelli di una donna;  Venere copre il suo sesso femminile tenendoci sopra l’estremità dei suoi fluentissimi capelli, il Mosè seduto tiene con la mano l’estremità della barba-chioma proprio sul sesso, per indicare il sesso già coperto dagli abiti, un sesso che si suppone senz’altro maschile, ma che si collega tuttavia alla barba-chioma dai tratti femminili, ossia che si collega molto direttamente al doppio michelangiolesco.  Tutto in uno straordinario capolavoro di espressione artistica della personalità di Michelangelo.

Certo, Michelangelo se non avesse avuto alcuna idea conscia o inconscia per la statua come sopra, avrebbe facilmente potuto fare diversamente, ad esempio: poteva non prendere lo schema della Venere di Botticelli per il suo Mosè, poteva evitare il simbolo del doppio proprio sulla barba-chioma e in corrispondenza del seno della Venere, poteva fare la barba più ispida e maschile e soprattutto  poteva non mettere la mano sinistra con le tre dita là dove l’ha messa alla fine della barba con spazialità in corrispondenza della fine dei capelli della Venere sul sesso. Ma cosi non è stato.

Pare che Michelangelo dicesse a statua compiuta come mai essa non potesse avere vita: in essa aveva proiettato e realizzato alla perfezione il suo miscuglio o doppio sul  piano della bellezza attraverso la spazialità della barba – l’arte di tutti i tipi per primo esprime la personalità degli artisti ed è su questa espressione quale che sia che si aggrega il suo significato più o meno ricco di sfaccettature.  In aggiunta ancora un cenno alle corna sulla testa di Mosè: certo, si tratta come è stato evidenziato dalla critica, di un errore di traduzione di San Gerolamo dovuto a termini simili, dove il significato non erano le corna, bensì la radiosità della luce da cui il volto di Mosè fu inondato alla sua seconda discesa dal Sinai con le due tavole scritte da ambo i lati. Nel contesto della statua esse acquistano tuttavia significato – non conforme al testo biblico – del potere maschile del toro, del bue Api per così dire, di cui Mosè è provvisto come capo del suo popolo, un sesso maschile simboleggiato sulla testa, mentre nel corpo stanno, mimetizzati e coperti, i risvolti al femminile. Non è senza significato neanche l’assenza di scrittura sulle tavole – che in aggiunta stanno scomposte sotto il braccio, come fossero senza importanza –, segni che con estrema facilità e rapidità Michelangelo avrebbe potuto incidere. La mancanza della scrittura – il contrassegno più rilevante nella figura del Mosè biblico essendo essa addirittura la motivazione delle sue due salite e discese dal monte dove niente meno ebbe l’incontro con Dio che scrisse i comandamenti con il suo dito – non poteva essere stato trascurato insipientemente o per imperdonabile dimenticanza da Michelangelo. Doveva significare – in ogni caso consciamente o inconsciamente non fa alcuna differenza, o magari per un inverosimile e imperdonabile lapsus freudiano. E di fatto significa: non fu la figura del Mosè biblico in sé a interessare Michelangelo come l’assenza dell’importantissimo riferimento ai comandamenti evidenzia senza ombra di dubbio, ma fu l’espressione del suo doppio al di là della storia o leggenda, ossia il Mosè di Michelangelo è quello biblico solo nel soggetto, nella sua superficie quindi, mentre nel profondo ci troviamo di fronte Michelangelo in persona, come forse non l’avevamo mai visto prima. Per concludere: non si può dimenticare che il modello spaziale del doppio di Michelangelo ha in questa statua unica al mondo per potenza, bellezza e realizzazione semantica lo schema della Nascita di Venere di Botticelli, del simbolo insuperato della bellezza al femminile di tutta l’umanità.

Termina qui l’analisi riguardante la spazialità dinamica intrinseca alla barba del Mosè di Michelangelo.

                                                                                                                                                                                       Rita Mascialino

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