RITA MASCIALINO, ‘SULLE RADICI CULTURALI: LA GRANDE BELLEZZA DI PAOLO SORRENTINO

RITA MASCIALINO, ‘SULLE RADICI CULTURALI: LA GRANDE BELLEZZA DI PAOLO SORRENTINO

‘La grande bellezza’, capolavoro del regista Paolo Sorrentino, criticato, detto eufemisticamente, molto superficialmente in vari, credo troppi giornali e riviste tedesche, ad esempio da critici dell’importante giornale Die Süddeutsche Zeitung di cui ho citato espressioni in altro studio. È in parte triste vedere come la Germania, oggi, in luogo della critica umanistica di livello di cui era capace un tempo, sembra in più di un caso aver sostituito analisi e sintesi con gli insulti, proferiti, come sempre gli insulti, nella non comprensione in generale, nella fattispecie: del significato del film, ma non voglio occuparmi di questo, né posso fare in un Quotidiano un’analisi dell’intero film, come ho fatto per altro in un corposo studio pubblicato altrove (www.ritamascialino.com). Voglio occuparmi qui invece di qualche rilevante particolare relativo ad un solo scorcio filmico, il più emozionante di tutto il film, quello che dà ragione del senso più profondo dell’intera opera, relativa specificamente alle radici culturali latino-romane del popolo italiano.

Si tratta dell’incontro del protagonista Jep Gambardella con Stefano, misterioso personaggio centrale del complesso messaggio del film. Dunque Jep scorge Stefano nel giardino di una villa romana durante una festa notturna cui è stato invitato da un grande collezionista d’arte che ha organizzato una cena con ballo a casa sua. Lo vede solitario e appartato, seminascosto tra le fronde quasi completamente al buio, appartato dagli altri ospiti in festa. Jep, che è suo amico da lungo tempo, lo saluta e gli chiede se abbia sempre con sé la speciale borsa e Stefano, interpretato da un eccellente Giorgio Pasotti, risponde che ce l’ha “sempre” con sé, sottolineando nel tono speciale il significato proprio dell’avverbio che è quello di un tempo ininterrotto, continuativo.  Non si tratta di una borsa, ma più esattamente di una cassetta non proprio piccola, una cassetta che mostra di avere qualche associazione alla spazialità di una bara, di qualcosa che custodisca ciò che ebbe vita un tempo e che, appunto custodito, può vivere ancora nella memoria. La cassetta-scrigno molto speciale contiene tante e tante chiavi dei più bei Palazzi di Roma, in uno dei quali Stefano accompagna nella notte Gambardella e la bellissima Ramona. Nella suggestiva scena all’interno di Palazzo Barberini si intravedono in uno scurissimo chiaroscuro opere d’arte magnifiche, statue severe e dipinti soavi come anche La Fornarina di Raffaello che nella stanza completamente oscura pare irradiare luce propria come fosse essa stessa vivente, mentre Jep e Ramona appaiono nel buio quasi totale essi stessi come ombre e anche Stefano è come un’ombra appena visibile, persone in carne ed ossa già come un’umanità trascorsa fra quella ormai immobile e immutabile raffigurata dall’arte, in un gioco esteticamente molto emozionante tra arte e vita: gioco che mostra l’uomo di Sorrentino inserito come statua vivente nel più sublime immaginario artistico. Veniamo dunque in dettaglio al personaggio di Stefano. Ramona, incuriosita, gli chiede perché gli abbiano dato tutte quelle chiavi – in un invito di Sorrentino da dietro le quinte a far sì che il pubblico si chieda chi sia questo personaggio, perché non ci passi sopra guardandolo solo in superficie – e allora Stefano pare quasi imbarazzato, pare come non poter svelare la verità su di sé, abbassa lo sguardo e il volto come per nascondere la propria identità, poi lo rialza e dice che gliele hanno date perché è una persona affidabile, una risposta che ha bisogno di chiarimento in quanto non risolve il problema del perché debba detenere quelle chiavi proprio e solo lui. Il molto simbolico Stefano ha un nome derivato dal greco dove significa incoronato, alludente alla corona che lo collega alla figura del sacerdote che presso i greci era intermediario tra gli uomini e gli dèi, e di fatto Stefano è l’intermediario fra il mondo terreno e quello degli dei più antichi. Chiarendo: è associabile molto direttamente a Vulcano, antichissimo dio della latinità, dell’Olimpo romano quindi, dio del fuoco sotterraneo concreto e metaforico, fabbro degli dèi, artigiano di eccezionale abilità, capace di lavorare in modo insuperabile i metalli, forgiatore delle armi degli dèi e degli eroi, insuperabile artista creatore di gioielli di altrettanto insuperabile bellezza, creatore di sculture, sposo di Venere, dea della bellezza, che però lo tradisce con Marte per via della sua bruttezza, tradimento – concreto e metaforico – che Vulcano furioso denuncia a tutti gli dèi come qualcosa di gravissimo, di imperdonabile, come lo sono tutti i tradimenti, in particolare questo che, sul piano simbolico, si riferisce al tradimento delle radici dell’identità latino-romano-italiana di cui Vulcano è antico rappresentante: radici dell’identità latino-romano-italiana che sono precipuamente, ed eccellentemente, artistiche. Il collegamento per così dire fisico tra Vulcano e Stefano, la prova regina che Stefano si associ simbolicamente al dio Vulcano, artista degli dèi appartenenti all’antichità dei popoli, nella fattispecie agli dèi romani, sta nel fatto che il dio e il misterioso personaggio ideato da Sorrentino sono entrambi zoppi e portano un bastone a forma di martello nell’impugnatura, attrezzo simbolo di Vulcano e in possesso ugualmente di Stefano come segno di riconoscimento. In aggiunta, il bastone viene mostrato ed evidenziato da Sorrentino appositamente in una speciale inquadratura ad hoc che lo mostra in posizione verticale e di profilo, così che abbia ben visibile l’impugnatura a martello e la simbologia ad essa connessa quale bastone di Vulcano, ciò mentre subito Stefano apre la cassa delle chiavi relative al passato artistico del popolo latino-romano-italiano per scegliere quella adatta al Palazzo in cui entrerà con Jep e Ramona, presentando e facendo rivivere la potente arte del passato italiano. Collegamenti importanti e vero gioiello culturale e artistico di Sorrentino: la grecità inerente al nome Stefano, attraverso la sua associazione con il dio Vulcano, acquista cittadinanza latina, romana. In tal modo l’influsso del mondo greco sulla latinità e l’acquisizione per così dire di particolari della grecità nella latinità hanno la loro esplicitazione direttamente in questo straordinario personaggio – di un più che straordinario Sorrentino come non mi posso stancare di ripetere! – interpretato in modo altrettanto straordinario, come già accennato, da Giorgio Pasotti, che ha saputo rappresentare la particolare natura fatta di silenzio e di mistero intrinseci peculiarmente alle cose antiche, antichissime, uno Stefano mediatore del mondo dei viventi con quei mondi trascorsi, fatti di fantasmi, quasi fantasma esso stesso come il dio Vulcano, vivo nella memoria come antica e anche antichissima identità psicologica, culturale. Si tratta di una guida più che preziosa per Jep e Ramona, guida che è memoria della più antica cultura e arte quali radici del presente e testimonianza della continuità indelebile del passato nelle epoche successive, radice che è identità di una cultura, della cultura latina, romana con la sua amicizia greca per così dire. Molto rilevante, come anticipato, è nel contesto l’avverbio “sempre” nella risposta di Stefano alla domanda di Jep. relativamente alla cassetta delle chiavi che tiene appunto sempre con sé, pronto ad aprirla per mostrarne i tesori, sepolti, ma sempre capaci di riprendere vita in una continuità che la memoria preserva. Ribadendo dopo le delucidazioni testé addotte: Stefano-Vulcano custodisce nel presente le chiavi che schiudono il passato artistico di Roma e non solo, conservandone la memoria perché non vada dimenticata, ne tiene appunto le chiavi ben protette nella cassa che porta sempre con sé, chiavi per proteggere l’arte, arte che nelle sue radici il contatto con gli dèi più antichi collegati all’immaginario artistico-culturale, all’identità più profonda del popolo. Il fatto che il personaggio si veda solo in un paio di inquadrature con la luce in volto e per il resto nelle poche altre inquadrature che lo riguardano sia un’immagine sfuggente, semi invisibile, conferma di suo la sua misteriosa parentela con il mondo oscuro delle radici, dei miti e degli dèi della latinità romana e indirettamente greca come felice unione di popoli artistici e devoti. Nel personaggio di Stefano si accentra dunque uno dei concetti base del film di Sorrentino come abbiamo avuto modo di accennare: l’importanza del passato, in particolare veicolato dall’arte e dai miti più antichi, per l’identità dei popoli, nel caso specifico: del popolo italiano. Una ulteriore nota: la nostalgica musica dello stupendo II Adagio in Do Maggiore Sinfonia N. 1 di Georges Bizet, una musica fatta quasi di echi lontani, che paiono provenire da mondi trascorsi, remoti, musica che accompagna sommessamente la breve, ma semanticamente centrale visita a Palazzo Barberini resa possibile da Stefano-Vulcano, il personaggio simbolico che detiene le chiavi di tutto il passato artistico del popolo italiano. Chiavi per la memoria dell’identità più profonda del popolo, della sua cultura.

Rita Mascialino



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